Mio fratello

Di te, il mio supposto alter ego,
non ho ancora scritto nulla,
forse perché mi viene difficile
vederti senza un turbamento,
che la tua vita è stata, spesso
tribolata, nella ricerca della tua
strada, con troppe salite e muri
da sormontare, che i pennelli graffiano
poco, ed invece di costruire: distruggono,
per la tua cocciuta idea, che fossero gradini
che portavano al paradiso.

Ma il paradiso è lontano, ed ora devi
prendere il posto di nostro padre,
accudire mamma e la zia,
ch’io son lontano e poco posso fare,
forse, questa è la tua nemesi:
volevi esser padre: adesso la nostra
famiglia è sulle tue spalle.

Siamo stati sempre così diversi
quasi opposti, nei gusti e nei sogni,
se una cosa tu amavi, io la detestavo
quasi uno il negativo dell’altro,
se io ero neroazzurro, tu rossonero,
solo il rapporto complesso
con nostro padre ci accomunava.

Anche le amicizie avemmo diverse,
le amicizie e gli amori che io amavo
le brune e tu le bionde, io le italiane
tu le francesi, pochi i punti comuni
le cose condivise, ci separammo
appena potemmo, con strade
sogni e disegni diversi, io lavorai
in ufficio in mezzo alle carte,
tu le carte le disegnavi, con matite
e colori e pastelli a cera,
io programmai i computer,
tu prevedesti il tuo sogno, senza compromessi,
eppure, le ferite nell’anima erano le stesse,
ma, io feci di necessità virtù
tu, non volesti pagare nessun prezzo
alla tua capacità espressiva, i tuoi disegni
così forti, così belli, dovevano non vender
l’anima ai bordelli.

Siamo fratelli, anzi no: siamo gemelli.

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